Nella puntata del 2 Luglio di Coffee Break, lo spazio del mattino di LA7 dedicato all’attualità, si è parlato di lavoro e degli ultimi provvedimenti del Governo Letta sull’occupazione.
Ospiti in studio a Roma l’Onorevole Giampaolo Galli ed Elena Antonetti, quarantenne precaria. In collegamento da Milano Walter Passerini, giornalista di La Stampa.
Categoria: Articoli e interviste
Giampaolo Galli ospite della trasmissione Omnibus Notte – 27/06/2013
Giampaolo Galli, Ilaria Borletti Buitoni, Celeste Costantino e Lucio Malan ospiti della puntata del 27 Giugno di Omnibus Notte, versione serale del programma giornalistico quotidiano di LA7.
Molti i temi affrontati: politica interna, Europa, ripresa economica, beni culturali.
Guarda la puntata: “Con la cultura non si mangia”
“Draghi, salvaci dalla recessione: ci vuole il Quantitative easing della Bce” intervista di Franco Locatelli a Giampaolo Galli su FIRSTonline 21/06/2013
Inseguire la crescita con un po’ di defict spending “è un’illusione da combattere”. Semmai bisogna “ridurre la pressione fiscale ma senza fare nuovo debito” e rivisitando la spesa pubblica che richiede però tempo. Quel che invece serve subito contro la recessione è un allentamento della politica monetaria: “Spero che nella Bce il termine Quantitative easing acquisisca la stessa legittimità che ha avuto negli ultimi anni presso la Fed”. Chi parla è Giampaolo Galli, neo-deputato del Pd e membro della Commissione Bilancio della Camera dopo essere stato uno degli allievo prediletti di Carlo Azeglio Ciampi in Banca d’Italia e poi direttore generale dell’Ania e della Confindustria. Anche ora che milita nel Pd e che di mestiere fa il parlamentare si capisce che si è formato alla Banca d’Italia e che le sirene della spesa facile per fare sviluppo non lo incantano. Anzi. Ecco la sua intervista a FIRSTonline.
FIRSTonline – Onorevole Galli, il “decreto del fare” ha riscosso generali apprezzamenti come primo parziale contributo al rilancio dell’economia, ma sulla sua strada non c’è chi non veda due grossi problemi: il primo, già sperimentato dal governo Monti, sta nelle difficoltà applicative del decreto e il secondo dipende dalla litigiosità della maggioranza e dal rischio che il decreto esca stravolto dall’esame del Parlamento. Qual è la sua opinione in proposito?
“La questione dell’attuazione effettiva dei provvedimenti di legge è una delle grandi questioni di questo paese. Non riguarda solo il governo Monti. Spesso si dice che l’Italia non ha fatto le riforme. Questo è vero in parte. E’ certamente vero che in generale, dopo averle approvate, non le ha attuate, per resistenze della burocrazia o di interessi particolari. Molte riforme sono state cancellate o vanificate da successivi governi, un danno importante del cosiddetto bipolarismo muscolare che abbiamo sperimentato in Italia per tanti anni. Si pensi ad esempio alla fine che hanno fatto la riforma delle pensioni del 2005 o il progetto Industria 2015 oppure ancora le tante misure di semplificazione della pubblica amministrazione. Abbiamo bisogno di condivisione e di continuità, politica e amministrativa, affinché i provvedimenti approvati vengano poi effettivamente attuati. Per questo ritengo che un governo con una maggioranza ampia può essere un’occasione. Nasce da uno stato di necessità perché non c’erano altre maggioranze possibili. Ma può diventare un’opportunità proprio perché i provvedimenti che verranno adottati avranno un consenso bipartisan. Naturalmente ciò richiede una collaborazione leale fra le principali componenti della maggioranza. Finora, pur fra difficoltà e mal di pancia, abbiamo lavorato in un clima abbastanza collaborativo”.
FIRSTonline – Al di là della buona volontà del Governo Letta, è difficile pensare che il “decreto del fare” sia qualcosa di più di un’utile manutenzione dell’economia, ma irrisolti restano i veri problemi del rilancio – e cioè come abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese rispettando il tetto del 3% del deficit – e quelli dell’agenda politica (rimodulazione dell’Imu e rinvio dell’aumento del’Iva): non crede che, a questo punto, occorrerebbe compiere un’operazione verità sulla spesa pubblica improduttiva e decidere una volta per tutte di tagliare quel che serve per raccogliere le risorse necessarie a ridurre le tasse?
“Ne sono assolutamente convinto. Al tempo stesso credo che la spesa non possa essere cancellata con un tratto di penna, come sarebbe invece necessario per eliminare l’Imu e ed evitare l’aumento dell’Iva. Occorre avviare un serio processo di re-engineering delle macchina pubblica e questo richiede tempo. In ogni caso non possiamo permetterci di non rispettare i patti europei perché la situazione finanziaria dell’Italia rimane delicata e non possiamo fare altro debito.
FIRSTonline – Recentemente l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha sostenuto al convegno di Kairos che l’Italia da sola non ce la può fare ad accelerare sulla crescita mantenendo il rigore dei conti se manca una cornice europea, una politica europea e soprattutto un bilancio europeo: Lei che cosa ne pensa e come affronterebbe la transizione in attesa di più Europa?
“Siamo tutti d’accordo che ci vuole più Europa. Sappiamo anche che questo non avverrà domani mattina. Intanto, dobbiamo combattere l’illusione che facendo un po’ di deficit spending si possano risolvere i problemi dell’Italia. I nostri guai dipendono da problemi irrisolti da molti anni. Dobbiamo lavorare per darci una burocrazia, una giustizia e infrastrutture meno indecenti. E, come ha detto Letta nel discorso della fiducia, dobbiamo ridurre la pressione fiscale senza fare nuovo debito. L’Europa ci può aiutare attraverso gli interventi della Bce, come in gran parte è già accaduto, e disegnando una prospettiva a medio termine di maggiore integrazione a cominciare dal tema caldo dell’unione bancaria”.
FIRSTonline – L’altro giorno il presidente della Bce Mario Draghi ha annunciato che la banca centrale è pronta ad adottare misure non standard, a partire dai tassi negativi, per aggredire l’emergenza economica: può essere una strada utile a normalizzare il credito e a spingerlo verso le imprese?
“Credo che a questo punto un ulteriore allentamento della politica monetaria sia necessario. Credo che ci sia poco spazio per politiche di bilancio meno restrittive, per necessità in alcuni paesi e per scelta in altri. A maggior ragione quindi la recessione va contrastata con la politica monetaria. Vanno benissimo i tassi negativi per incoraggiare le banche a mettere in circolazione la liquidità. Ancora meglio sarebbe l’acquisto diretto da parte della Bce di crediti cartolarizzati alle piccole e medie imprese. La questione è allo studio ma, come ha spiegato la Bce, vi sono difficoltà tecniche legate al fatto che, salvo in Spagna, il mercato delle cartolarizzazioni si è molto assottigliato dopo la crisi del 2008. Mi sembrano difficoltà che possono essere superate come hanno fatto negli Stati Uniti con il programma Tarp. Spero che nella BCE il termine QE (quantitative easing) acquisisca la stessa legittimità che ha avuto negli ultimi anni presso la Fed”.
FIRSTonline – Il presidente dell’Antitrust ha ricordato, nell’incontro annuale, l’urgenza che il Parlamento e il Governo approvino nuove misure di liberalizzazione soprattutto per l’Rca auto, l’energia, le banche, le poste e i trasporti: in concreto secondo Lei che cosa si può rapidamente fare sul piano della concorrenza?
“E’un fatto che in molti di questi settori i prezzi sono aumentati più della media e più che negli altri paesi dell’Euro. E questo contribuisce a spiegare la perdita di competitività dell’Italia. In una recente riunione dei capi di stato della UE Mario Draghi ha sottolineato il fatto che dall’avvio dell’euro ad oggi i salari nominali sono cresciuti del 21 per cento in Germania e del 40 per cento in Italia. Questo gap pesa sulla nostra competitività più dei differenziali di crescita della produttività. Il punto però che non può sfuggire è che in questo stesso arco di tempo i salari netti in termini reali sono rimasti pressoché costanti in Italia. Ciò è in larga parte dovuto all’inflazione da servizi. Vanno smantellate le posizioni di rendita e create le condizioni per una vera concorrenza. In molti casi, i problemi dipendono da inefficienze del settore pubblico o da errori nella regolazione settoriale. Ad esempio, nel caso delle assicurazioni, le questioni cruciali sono quella di un efficace contrasto alle frodi, che richiede un ruolo attivo delle autorità in collaborazione con i privati, e della regolazione relativa ai risarcimenti per i danni alle persone. Nel caso delle banche andrebbe eliminata la dilazione in ben diciotto anni del riconoscimento fiscale delle perdite su crediti che ha effetti prociclici e tende a far aumentare il costo del credito proprio nelle fasi di recessione”.
Crisi e crescita: l’importanza di non abbandonare l’austerity – il commento di Giampaolo Galli su l’Unità 15/06/2013
Le critiche agli eccessi di austerità in Europa non debbono far dimenticare che per l’Italia non c’è alternativa ad una rigorosa politica di disciplina finanziaria; né che la bassa crescita è un problema che ci trasciniamo da almeno quindici anni e la cui soluzione dipende principalmente da ciò che noi italiani sappiamo o non sappiamo fare.
Rimane di assoluta attualità l’insegnamento di Carlo Azeglio Ciampi che, da Ministro del Tesoro ai tempi in cui fummo ammessi nella Moneta Unica, impegnò l’Italia a realizzare consistenti avanzi primari, per un periodo di tempo prolungato. Non v’era, e non v’è, altro modo per piegare la dinamica del debito pubblico. Oggi siamo in una grave recessione. In astratto, ossia se non avessimo un alto debito e una bassa credibilità, sarebbe logico ridurre le tasse, andando oltre i parametri europei, assumendo nel contempo l’impegno a riportare il bilancio in pareggio negli anni successivi. Ma con tutta evidenza non ve ne sono le condizioni.
Abbiamo invece due ragioni in più per riprendere l’impegno di Ciampi o, meglio, quello del pareggio di bilancio, che nei numeri è ad esso sostanzialmente equivalente. La prima è che quell’impegno non è stato mantenuto, sicché oggi il nostro debito è tornato ai massimi degli anni novanta. La seconda è che oggi è del tutto evidente che la nostra economia non riprenderà a crescere se non sarà ripristinata in toto la fiducia dei mercati e dei risparmiatori nel debito sovrano. La mancanza di fiducia, di cui lo spread è un imperfetto e volatile termometro, pesa sull’onere del debito, sottraendo risorse ad utilizzi più efficienti, prosciuga il credito bancario, scoraggia gli investimenti e i consumi. Il ripristino della fiducia nel debito sovrano è la misura più efficace per uscire dalla crisi dell’economia reale, anche se da solo ovviamente non basta. Fa bene dunque il Ministro Saccomanni ad attenersi al mandato ricevuto dal Governo nel discorso della fiducia: riduzione della pressione fiscale, che è assolutamente necessaria, ma senza nuovo indebitamento.
E’ anche giusto chiedere, come sta facendo il governo Letta in accordo con Hollande, che l’Europa faccia molto di più per la crescita. Questa richiesta può essere efficace solo se riusciamo a fugare i timori degli elettori tedeschi e dei mercati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. In Germania gli elettori si preoccupano più del rischio di nuove tasse per far fronte ai guai dei paesi periferici dell’euro che della disoccupazione che è ai minimi storici. I tedeschi hanno fatto notevoli sacrifici negli anni scorsi per mettere i conti in ordine e uscire dalla condizione, che condividevano con l’Italia, di malato d’Europa sotto il profilo della crescita. Non capiscono per quale motivo oggi dovrebbero disperdere i sacrifici fatti, tanto più che anche in Germania, per via della crisi finanziaria globale, il debito è fortemente aumentato. Certo, come sostiene l’Economist di questa settimana, la Germania potrebbe assumere un ruolo di leadership in Europa e farsi carico dei problemi dell’intera area, in modo da far sì che in aggregato la politica di bilancio dell’eurozona sia meno dissimile da quella degli Stati Uniti oppure da quella che verosimilmente prevarrebbe in una ipotetica Europa federale. Ma, a parte la riluttanza politica della Germania post bellica ad assumere ruoli di leadership, questo richiede che gli altri paesi accettino tale ruolo e si comportino di conseguenza.
Le polemiche contro la Germania e la “cieca austerità” che essa imporrebbe all’Europa sono dunque poco utili. Distraggono l’attenzione dalle cose che dobbiamo fare a casa nostra per darci, ad esempio, una burocrazia, una giustizia e delle infrastrutture meno indecenti. Rischiano di essere molto controproducenti in una condizione nella quale i mercati non sono affatto tranquilli sulle prospettive del debito pubblico italiano. Dopo le forti prese di posizione di Draghi riguardo all’impegno della Bce a difendere l’Euro, dall’estate scorsa gli investitori sono tornati sui titoli di Stato italiani, ma per lo più in un ottica “mordi e fuggi”, pronti a scappare nel caso di pericolo. E i pericoli purtroppo non mancano. Possono venire ad esempio, da una sentenza sfavorevole della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità dell’operato della BCE oppure dall’avvio da parte della Fed di una politica di riassorbimento dell’eccesso di liquidità in dollari. Stando alle proiezioni di quasi tutti i centri di ricerca, nel 2013 l’Italia avrà un disavanzo superiore al 3%. Qualora ciò si verificasse il problema sarà quello di gestire il rientro nella procedura d’infrazione dalla quale siamo appena usciti, in un contesto di mercato sicuramente meno favorevole di quello attuale.
E’ peraltro evidente che se si realizza uno scenario sfavorevole, la gestione dell’emergenza finirebbe per essere molto più difficile e dolorosa in un quadro segnato da tensioni politiche fra paesi europei, in particolare con la Germania. Le stesse tensioni politiche possono costituire la miccia che innesca una crisi, come spesso è successo in passato. Sotto questo profilo non possono che preoccupare i richiami ormai quasi quotidiani e sempre più severi delle autorità europee e tedesche alla disciplina di bilancio. Dobbiamo assolutamente prevenirli e l’unico modo per farlo è di approvare in toto, senza riserve mentali e artifici verbali, il programma di stabilità che l’Italia ha già sottoposto all’Unione Europea. Occorre un impegno serio e credibile di tutto il Parlamento. E occorrono comportamenti conseguenti. Si deve porre fine alla solitudine del Ministro dell’Economia che è un vizio antico della politica italiana e, a mio avviso, la cartina di tornasole della sua storica inadeguatezza. Solo così avremo qualche chance di riuscire a spostare l’asse delle politiche economiche in Europa.
Giampaolo Galli
L’ampia maggioranza è una necessità, ma può fare bene all’Italia – Intervento di Giampaolo Galli al Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti
The usual line about the grand coalition led by Enrico Letta is: “I do not like it. It is against nature. But it is a state of necessity, since no other governing coalition was possible”. I will not try to argue against this line which reflects the legitimate sentiments of most voters both in the left and in the right. However I believe that we can and must turn a state of necessity into an opportunity. How can this come about?
To answer this question, let me first recall an episode that goes back to the 1970s and owes much to Richard Gardner, who is today with us and at the time of the Carter administration was an highly esteemed ambassador in Rome.
As he recalls in his memorable book of memories, in 1978 Richard managed to convince the US administration to give a visa to Giorgio Napolitano for entering the US. The political context in Italy was that of the governments of “national solidarity”, advocated by Aldo Moro, the prominent leader of the main Italian political party. During this trip, Napolitano had a private meeting at MIT with four leading economists, in the Keynesian – liberal camp: Robert Solow, Franco Modigliani, Lester Thurow and, last but not least, Paul Samuelson. Being an Italian graduate student at MIT, I was given the honor to take part in the meeting. Two things did strike me very much and may still be of some relevance today.
The first one, all those liberal economists were appalled by the amazing economic mess that prevailed in Italy: stagflation, high deficits, recurrent financial crises. They clearly pointed at a shameful lack of responsibility of political leaders and at a continuing illusion that a country can live beyond its means. Paul Samuelson was even more severe than usual, more than I had ever heard him do with Milton Friedman or Richard Nixon.
The second one, I was hit by Giorgio Napolitano’s response. He showed full awareness of the problems of Italy and argued that the left was ready to undertake at least some of the IMF – style reforms that were needed to save the country. That was the very sense of national solidarity governments, which meant that political opponents were willing to take on a common responsibility for the good of the country, setting aside the historical divide that had characterized Italy and many other countries after WW2. I had the impression that his arguments convinced the table.
It would be tempting to say that we are still there, though of course time never passes in vain.
Italy is still a problematic country, essentially because it tries to live beyond its means. This no longer takes the form of high inflation, but in the course of time it has taken two forms: 1) a high and increasing public debt and 2) a creeping inflation year after year that over the years has cumulated into an amazing loss of competitiveness vis a vis Europe, especially Germany. These are the two key problems of Italy today, which are at the root of both a deeper recession than elsewhere and high unemployment.
Giorgio Napolitano is still the one person that can effectively appeal to a sense of national responsibility to save the country. And, thanks to his action, we are once again engaging in a “national solidarity” government, that puts together political parties that until a few weeks ago regarded each other as “enemies”.
Will we succeed this time? Will the grand coalition government be able to solve at least some of the key problems of Italy?
To those who are understandably skeptic about it, both in the US and in Italy, I would offer the following two considerations.
1. The first consideration is that a wide political majority may have a easier time implementing difficult measures. This seems to be the lesson of many different countries and is also the lesson of the 1976-1978 governments of “national solidarity” in Italy: the mess had been done before and was going to be repeated afterwards (see Basevi and Onofri, Economia Italiana, 1997). Consider in particular the following three issues:
a. One of the key difficult things that need to be done is reforming the Constitution and the electoral law. We need to balance the principle of full representation with the need to have well defined majorities and governments that last the full length of a legislature and can take decisions. This is a typical problem that can be solved only with a wide consensus in Parliament.
b. Another very difficult challenge is to lend credibility to our commitment to stick to European rules concerning public finance. In this respect, it is remarkable that a few days ago Parliament has approved, with a very large majority, a resolution that commits the government to stay within the 3% limit in 2013. Whatever one thinks about austerity in general this was an essential step to avoid problems with the financial markets.
c. Italy badly needs to reduce tax pressure. This was the strong message that came out the February election. Of course to reduce taxes we must cut spending which is very difficult and very unpopular. If all major political forces agree on spending cuts and put their faces on them, then we can do it. No one wants to eliminate our European style welfare system. We want to streamline the public sector and make it more efficient. There is room to do it and we can do it. But we can only do in a bipartisan way.
2. The second consideration is that Italy has failed to do the necessary reforms (bureaucracy, justice, infrastructure, education, form of government etc.) not so much because the reforms were not approved by parliaments, but because they were not implemented by the succeeding governments or were explicitly abrogated, sometimes by popular referendum. So we have had “stop and go” reforms that at the end delivered almost nothing to citizens and companies. What we need a steady sense of direction and administrative capacity in order to implement over time what has been decided. If each government undoes what the previous government has done, we go nowhere.
We should stop this unfortunate state of affairs. We should put together all our shareholders and say we have a project for Italy for which we all take responsibility.