Ma qui veniamo ad una questione politica ed economica di grande rilevanza e che riguarda proprio le nostre banche, il loro ruolo nel nostro sistema economico e la retorica del regalo ai signori della Finanza. Dalla Lega a Vendola e Ferrero, spesso si sente dire che siamo schiavi dei finanzieri e degli speculatori, e che bisogna smettere di fare favori a chi opera in Borsa o a chi compra titoli del Tesoro. Bisogna invece dire con forza e senza ipocrisie, che l’Italia non sta vivendo la più lunga recessione del dopoguerra a causa delle sue banche, che invece stanno soffrendo per le perdite che tante piccole e medie imprese hanno inflitto ai propri bilanci. E che anzi – e su questo Galli concorda – fino a che non rimetteremo a posto le banche, cioè fino a quando non riusciremo a ricapitalizzarle o ad alleggerirle, almeno in parte, dal peso delle sofferenze, in modo da ridar loro la possibilità di accedere ai capitali internazionali (o almeno europei) e quindi di riaprire i canali del credito, non avremo nessuna speranza di poter agganciare la ripresa economica e quindi creare nuovi posti di lavoro.
Di conseguenza sarebbe ora che qualcuno cominciasse a dire che dobbiamo preoccuparci della salute delle nostre banche, aiutandole se necessario, magari imponendo una governance più trasparente e, se del caso, banchieri migliori. Il decreto sulla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, nato soprattutto per finanziare in parte l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, avrà nel tempo un effetto positivo sul capitale delle banche e quindi sulla loro capacità di aumentare il credito all’economia.
Galli spiega che i vincoli imposti dalla Bce impediranno di conteggiare questa rivalutazione delle quote della Banca d’Italia nel capitale delle banche già da quest’anno per fronteggiare i test sulla solidità degli istituti di credito europei che la banca di Francoforte si appresta a fare. Certo man mano che le banche venderanno la quota di partecipazione alla Banca d’Italia eccedente il limite del 3% ci sarà un certo rafforzamento patrimoniale delle banche. Ma questo sarà un bene dato che ancora oggi l’opinione degli uomini d’affari internazionali è che le nostre banche siano tra le più deboli del mercato europeo. Questo non è vero, ma la fiducia sulla capacità del nostro paese di capire bene cosa deve fare per vincere sui mercati mondiali, è ancora molto scarsa.
Una ultima obiezione va confutata con forza e cioè quella secondo la quale “privatizzando” la Banca d’Italia si metterebbero in mani private le riserve di oro e valute che sono a garanzia della circolazione monetaria del paese.
A parte il fatto che il rapporto tra circolazione monetaria e riserve non è oggi così stretto come quando c’era la piena convertibilità in oro, i soci attuali e futuri non hanno alcun diritto sulle riserve valutarie. Di più, il decreto chiarisce che i loro interessi patrimoniali possono essere fatti valere solo sul capitale sociale. Non possono più neanche essere fatti valere sulle riserve accumulate negli anni con gli utili della Banca d’Italia non distribuite comunque con il nuovo decreto, spiega Galli, la misura del dividendo è stata fissata fino ad un massimo del 6% del valore della Banca, cioè fino a 450 milioni. Nel recente passato questo tetto massimo era del 4% delle riserve e cioè di 560 milioni ai valori di bilancio del 2012. In realtà la Banca d’Italia ha distribuito un dividendo pari allo 0,5% delle riserve. In ogni caso questo nuovo decreto mette un tetto più basso del precedente.
In conclusione si tratta di una operazione che non cambia la natura pubblica della Banca d’Italia e che consente allo Stato di incassare una tassa sulla rivalutazione delle quote e nel contempo di sostenere un po’ le nostre banche senza esborsi da parte del Tesoro com’è invece avvenuto in altri paesi, Germania compresa. Appare chiaro quindi, che salvo qualche diversità di opinioni su qualche piccolo aspetto tecnico,la polemica grillina è del tutto sbagliata e crea un danno all’economia italiana.