Di fronte al rischio di forte instabilità politica dell’Italia indotta da una eventuale vittoria del Movimento 5 Stelle va valutata senza pregiudizi la possibilità di modificare la legge elettorale prima del referendum attenuandone il carattere maggioritario, come inizialmente chiedevano gli stessi grillini. Bisogna però essere consapevoli che se si cambia l’Italicum diventa inevitabile una coalizione di governo e probabilmente una grande coalizione, con tutti i pericoli che ne conseguono.
Cambiare o no l’Italicum? La questione si pone oggi in termini diversi da come si poneva prima delle elezioni amministrative perché a questo punto non si può escludere una vittoria del M5S alle prossime elezioni politiche. In teoria non si dovrebbe mai modificare una legge elettorale in funzione delle circostanze o convenienze politiche, ma qui non si dovrebbe fare altro che andare incontro alle richieste di tutte le opposizioni, compreso il Movimento 5 Stelle. Il che consente di affrontare senza forzature quella che è una circostanza del tutto eccezionale.
Qualcuno ha suggerito che siamo in una situazione analoga a quella del 18 aprile 1948.
L’economia italiana e con essa le istituzioni democratiche non reggerebbero a una vittoria del M5S. Probabilmente basterebbe anche solo la prospettiva di una vittoria del M5S per generare un’ondata di sfiducia che metterebbe a rischio le nostre banche, il debito pubblico e la nostra stessa permanenza nell’euro. E ciò avverrebbe in un contesto nel quale la solidarietà europea o, se si vuole, il pilota automatico di cui parlò Mario Draghi stenterebbero ad attivarsi per via dei forti sentimenti anti europei, anti tedeschi e anti americani – in realtà sostanzialmente anti occidentali – che dominano nel M5S.
Dunque un governo a Cinque Stelle è una prospettiva che l’Italia non si può permettere.
Non se la può permettere neanche l’Europa, per la quale sarebbe ben peggio della Brexit se non altro per il fatto che l’Italia fa parte dell’Eurozona. Non a caso i rapporti delle organizzazioni internazionali e delle grandi banche hanno ricominciato a parlare di rischio politico in Europa e in particolare in Italia. Carovane di analisti stanno tornando in Italia e, come nel 2011, sono più interessati a capire l’evoluzione della situazione politica che i dettagli delle prospettive economiche. Non tutti gli investitori sono negativi sull’Italia, ma i più non si fidano e stanno alla finestra. Ciò vale anche per gli italiani: in particolare gli investimenti delle imprese languono perché c’è capacità inutilizzata, ma anche perché c’è un forte rischio politico. L’economia dunque riprende, ma a un ritmo più basso di ciò che sarebbe possibile. Una vera ripresa difficilmente sarà possibile fino a che il rischio politico non sarà scongiurato.
Di fronte a questa prospettiva, è forte la tentazione di cambiare l’Italicum in modo da attenuarne il carattere maggioritario, andando così incontro – lo ripetiamo – a quella che in fondo era la richiesta di tutte le opposizioni compreso il M5S. In questo modo diventerebbe pressoché impossibile la formazione di un governo monocolore M5S nel senso che se anche risultasse il primo partito sarebbe costretto a valutare se allearsi con altre forze politiche, di centro destra o di centro sinistra, oppure passare la mano.
E’ altresì forte la tentazione di realizzare il cambiamento della legge elettorale (o quantomeno di annunciarlo) prima del referendum costituzionale. Ciò al fine di evitare di compattare nel fronte del “no” coloro che, se non ci fosse il pericolo del M5S, voterebbero “sì”. E’ infatti evidente che una bocciatura della nuova costituzione riporterebbe in vita un Senato eletto con legge proporzionale, il che anche impedirebbe la formazione di un monocolore M5S.
Esistono alternative o controindicazioni rispetto a questo scenario?
L’alternativa ovviamente esiste ed è in fondo quella più naturale. Consiste nel battere politicamente il M5S. Entro settembre bisognerà aver fatto una valutazione su questo punto, avendo presente tutte le variabili dello scenario: l’azione del governo (banche, legge di stabilità, popolarità di Renzi ecc.), l’azione del centro destra (riuscirà Parisi a ridare una prospettiva al centro destra e recuperare i voti che a Roma e Torino sono andati al M5S?), lo scenario internazionale (migrazioni, terrorismo, guerre ecc.). Conterà anche capire come si schiererà la grande stampa che al momento sembra più attratta da un insulso tran-tran antirenziano che dalla sostanza dei problemi che incombono.
Anche le controindicazioni sono evidenti. Se si cambia l’Italicum, la sera delle elezioni non si saprà chi ha vinto e si dovrà formare un governo di coalizione. Verosimilmente si tratterà di una grande coalizione alla tedesca, dal momento il M5S, anche se arrivasse primo, non vorrà allearsi con nessuno. In Germania la grande coalizione ha funzionato piuttosto bene. In Italia funzionerebbe male, perché le forze politiche si sono combattute selvaggiamente nel corso degli anni, rischierebbe di divenire un bersaglio fisso per il M5S e di durare pochi mesi. Si tornerebbe dunque ben presto alle urne con un M5S ulteriormente rafforzato.
Una cosa è in ogni caso chiara. Occorre che la battaglia contro il M5S non sia lasciata in mano a politici di seconda fila a Roma o Torino. Deve diventare una grande questione nazionale, in cui siano impegnati politici di rango, compresi quelli che non sono più in servizio attivo, intellettuali, editorialisti, economisti, scienziati. L’Italia non può cadere nelle mani di gente che crede nelle sciocchezze della decrescita felice e pensa che i vaccini siano un complotto delle multinazionali.