Parla il vice direttore dell’Osservatorio dei Conti pubblici presso l’Università Cattolica.
L’Italia evita la procedura d’infrazione. E’ una vittoria per il nostro Paese o per l’Europa?
“E’ un fatto positivo. Per l’Italia la procedura d’infrazione sarebbe stata un grosso problema. Per il governo, dopo le dichiarazioni bellicose dei primi mesi, è stata una lezione di realismo”
Ma Il premier sostiene che tutti gli interventi programmati verranno rispettati nei tempi prestabiliti.
“Non è possibile. Prendiamo il reddito di cittadinanza. Inizialmente il Movimento 5 Stelle aveva previsto 17 miliardi, di cui 1 per i centri per l’impiego, per una platea di 5-6 milioni di persone e una cifra pari a 780 euro a persona. Nella manovra approvata alla Camera, i miliardi sono diventati 9, compresi i 2 del Rei e 1 per i centri per l’impiego. Ma platea e cifre sono rimaste identiche. Ora che le risorse diminuiscono ulteriormente, è impossibile che le condizioni restino immutate”.
Loro parlano di errori di valutazione iniziali.
“Ed è una cosa molto brutta dal punto di vista istituzionale. Dire che Inps e Ragioneria dello Stato avevano sopravvalutato i costi di reddito di cittadinanza e quota 100 è sbagliato e inaccettabile”.
E riguardo al piano fiscale? E’ vero che si pagheranno meno tasse?
“Allo stato dei fatti è vero il contrario. Viene abolita la mini-Ires al 15% per imprese che investono e assumono, saltano il credito di imposta Irap sui nuovi assunti e sugli investimenti al Sud: un combinato disposto dannoso per il Mezzogiorno. Inoltre aumentano le clausole di salvaguardia dell’Iva, con riferimento al 2020 e 2021. Infine ci sono tantissime rimodulazioni dei fondi, che nella sostanza vogliono dire una sostanziale diminuzione degli investimenti pubblici”.
Ma come? Il governo parla del più grande piano di investimenti pubblici nella storia della Repubblica…
“Guardi, se così fosse, probabilmente l’Unione Europea avrebbe accettato anche un rapporto deficit/Pil più alto. Il comma 3 dell’articolo 126 del Trattato dell’Unione Europea dice esplicitamente che nella valutazione di una manovra di bilancio dei singoli Paesi si deve tenere conto dell’andamento degli investimenti pubblici. Evidentemente quanto c’era scritto nella Legge di Bilancio non ha impressionato la Commissione”.
Secondo lei, anche alla luce delle stime di crescita riviste al ribasso, si rischia di disattendere il rispetto del tetto al 2,04% del rapporto deficit/Pil?
“La mia impressione è che la crescita sarà sotto l’1% e quindi il rischio c’è, nonostante Conte parli di 2 miliardi di euro che possono essere accantonati nel caso in cui non si raggiungano gli obiettivi. Ma da dove arriverebbero questi 2 miliardi? Come è possibile che si continui a ridurre la manovra, soprattutto negli anni successivi (1,8% nel 2020 e 1,5% nel 2021) e rimanga tutto invariato?”.
I mercati però sembrano aver reagito bene.
“E’ normale che la reazione sia stata positiva, ma credo che non torneremo ai livelli di spread del maggio 2018. Alcuni Stati e gli stessi mercati sono propensi a dare sempre meno credibilità ad una Commissione che, per ammissione dello stesso Moscovici, agisce anche sulla base di calcoli politici. Eserciteranno la loro pressione per far sì che le regole siano più severe e la governance sia affidata ad organismi tecnici più che politici”.
Secondo lei la partita tra governo e Commissione, almeno per il momento, è chiusa e la procedura d’infrazione definitivamente scongiurata?
“Credo proprio di sì. Molti Stati membri, quelli della cosiddetta Lega Anseatica, faranno pressioni sulla Commissione per riaprire la partita, ma ormai la parola al governo è stata data e Bruxelles avrebbe più da perdere che da guadagnare da una riapertura della procedura. Però è essenziale che il Parlamento accetti l’accordo a scatola chiusa e che non ci siano sconfinamenti in corso d’anno”.