Gran parte del dibattito corrente sulle politiche pubbliche è centrato sul tema delle diseguaglianze. Combattere le diseguaglianze crescenti è diventato lo slogan centrale di molti politici, specie a sinistra. Nulla di male in astratto, ma sarebbe bene che si tenesse conto dei fatti. Nella relazione della Banca d’Italia di quest’anno si afferma che: nel quadriennio 2020-2016, vi è stata “una sostanziale stazionarietà della diseguaglianza del reddito, misurata dall’indice di Gini, e una diminuzione della quota di famiglie a basso reddito”. Ciò anche perché nel primo quintile, “dove ricadono prevalentemente le famiglie la cui persona di riferimento è un operaio, un disoccupato o un pensionato, i redditi hanno beneficiato maggiormente dell’insieme dei nuovi strumenti di sostegno introdotti tra il 2016 e il 2019 e di quelli straordinari adottati nel 2020 per fronteggiare gli effetti economici della pandemia”.
I redditi medi sono aumentati in termini reali di 4,5% per i lavoratori dipendenti e di 11,5% per i lavoratori indipendenti (malgrado i lockdown!). Gli unici che hanno perso, con buona pace di tanta retorica corrente, sono i pensionati (-0,6%). Per risalire negli anni, la relazione della Banca d’Italia sul 2015 afferma che “nel 2014 l’indice di Gini è rimasto all’incirca invariato rispetto al 2012 e prossimo ai livelli antecedenti il 2008. La crisi economica non ha, nel complesso, determinato un significativo aumento della disuguaglianza: la contrazione del reddito equivalente reale, di circa il 14% dal 2006, ha interessato in misura pressoché omogenea l’intera distribuzione”.
Per risalire ancora più indietro, un paper del 2018 di vari ricercatori della Banca d’Italia (primo autore Andrea Brandolini) afferma che “le diseguaglianze di reddito, misurate dall’indice di Gini, sono aumentate bruscamente nei primi anni ’90, ma non sono cambiate in modo rilevante da allora… Il principale cambiamento nella distribuzione del reddito negli ultimi tre decenni è dunque avvenuto durante la crisi valutaria e assunse prevalentemente la forma di uno spostamento [di circa il 5%] del reddito dalla classe medio bassa alla classe più bassa.
Eccetto per questo episodio non vi è alcuna indicazione che la classe media, definita in termini di reddito, si sia ristretta. I redditi più alti hanno svolto un ruolo minore nel determinare cambiamenti nella diseguaglianza”. Riassumendo, diseguaglianze invariate dopo i primi anni ’90, ceto medio che non sparisce affatto, lavoratori autonomi che non hanno perso (in media) neanche nel 2020; variazioni di reddito dei più ricchi sostanzialmente irrilevanti ai fini della complessiva distribuzione del reddito. Forse, il fatto è che in un paese che non cresce da quasi trent’anni e non offre opportunità, qualunque diseguaglianza alla lunga diventa insopportabile.
Le disuguaglianze non aumentano
di Giampaolo Galli, Inpiù, 24 gennaio 2023.
Ma in un paese fermo da quasi trent’anni diventano insopportabili.
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