Da parecchio tempo di spending review o revisione della spesa non si sente più parlare. L’ultima volta che questo termine ha fatto capolino nel discorso pubblico è stato nel Def dell’aprile 2022 del governo Draghi, in cui si sono posti obiettivi davvero minimali di revisione della spesa in attuazione del PNRR: poco più di un miliardo all’anno in ciascuno dei tre anni 2023-2025. Ma – si sa – il governo Draghi aveva i limiti tipici di un governo di grande coalizione. Quello che un po’ stupisce è che la spending review sia scomparsa completamente nel linguaggio del governo Meloni che si basa su una maggioranza abbastanza coesa. A scanso di equivoci, questo non significa che nella legge di bilancio 2023 non ci siano tagli di spesa. Anzi, alcuni sono particolarmente rilevanti. Per esempio, l’eliminazione del reddito di cittadinanza è valutata 8,7 miliardi a regime e vedremo con che cosa verrà sostituito. La riduzione dell’indicizzazione delle pensioni medie e medio-alte vale quasi 7 miliardi a regime: dato il livello cui è giunta l’inflazione, questa è una delle più grandi manovre redistributive che si ricordino.
Altri tagli sono impliciti nel fatto che i rifinanziamenti non sono sufficienti a tenere il passo con l’inflazione. Ad esempio il Fondo Sanitario Nazionale, valutato al netto dell’inflazione, torna leggermente al di sotto del livello del 2019, prima della grande esplosione della spesa dovuta al Covid. Peraltro, se non ci fossero questi tagli, espliciti o impliciti, sarebbe impossibile conseguire l’obiettivo di riduzione del deficit 2023 al 4,5% del Pil. Bisogna inoltre considerare che, sempre in attuazione del PNRR, opera una struttura apposita presso il Mef che fa capo alla Ragioneria dello Stato e che dovrebbe in via continuativa occuparsi di revisione della spesa. La Ragioneria è l’istituzione giusta per questa funzione. Ma è lecito dubitare che possa fare alcunché di significativo. L’esperienza internazionale mostra che per ottenere dei risultati occorre che vengano definiti e resi pubblici gli obiettivi e che sia reso chiaro agli elettori come verranno utilizzati i risparmi. Ciò comporta un forte sostegno politico e una condivisione dell’opinione pubblica che oggi non esistono. La spending review non c’era nel programma del centro-destra, non c’è nel cuore e nella mente dei nostri leader. Non potrà esserci nella realtà. Al più si riusciranno a fare dei tagli lineari (come tutti quelli dovuti a finanziamenti inferiori all’inflazione), il cui difetto è che non incidono sui meccanismi di spesa e, dunque, ben che vada, hanno effetti transitori: funzionano per un anno o due e poi siamo daccapo.
Esiste ancora la spending review?
di Giampaolo Galli, Inpiù, 1 febbraio 2023.
Si prevedono solo tagli lineari che non incidono sui meccanismi di spesa.
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