Come spesso accade in Italia, la manovra vera è diversa da quella che appare. In primo luogo, se si fa affidamento alle fonti ufficiali, non si capisce quali siano le coperture per arrivare alla manovra lorda di 35 miliardi, a parte l’extra deficit di 22 miliardi. Quelle che sono state sin qui annunciate non sembrano sufficienti. Da qualche parte si nascondono quindi misure dolorose per alcuni gruppi di cittadini o imprese. In secondo luogo, in pochi sembrano aver notato quanto sia restrittiva la manovra targata Meloni-Giorgetti. Molti guardano alla differenza fra il deficit programmatico (4,5% del Pil) e il tendenziale (3,4%) e ne traggono la conclusione che la manovra è espansiva per 22 miliardi. Ma questo confronto è davvero fuorviante dal momento che – giustamente – il tendenziale è fatto a legislazione vigente e dunque non comprende le misure in vigore per far fronte ai rincari dell’energia, la cui riproposizione costa 20 miliardi per un trimestre e dunque ben 80 miliardi per l’intero anno (se i prezzi delle materie prime non scendono). Il conto più significativo lo si ottiene confrontando l’obiettivo del 4,5% per il 2023 con il preconsuntivo del 2022 (5,6%), il che significa che in un solo anno il deficit scende di oltre un punto di Pil; lo stesso accade al deficit primario perché la spesa per interessi è la stessa del 2022 (4,1% del Pil). Dato poi che il governo prevede – saggiamente – un forte rallentamento della crescita per il 2023 (un misero +0,6%), la variazione del saldo strutturale, ossia corretto per il ciclo, è ancora maggiore: -1,3% del Pil, ossia circa 26 miliardi che vengono sottratti all’economia. Dunque come tornano i conti? Buona parte della risposta sta in una tabella seminascosta nella Nadef: i redditi da lavoro dipendente e gli acquisti della PA diminuiscono di 0,6 e 0,8% rispettivamente, in valore assoluto, non rispetto al Pil (!). Al netto dell’inflazione che ormai ha raggiunto il 12%, si tratta di tagli davvero importanti. Come si possano ottenere questi risultati non è chiaro. Per i redditi sembra difficile che i sindacati non alzino un dito per recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione. Per gli acquisti, per lo più a carico della sanità, sembra ovvio che essi lievitino con i prezzi, a meno di una spending review davvero arcigna. Poteva il governo proporre un deficit obiettivo più alto di 4,5? La nostra risposta è no: Giorgetti ha fatto la scelta giusta. Con i tassi BCE in salita e i mercati scottati da crisi finanziarie a catena (da ultimo quella della piattaforma cripto FTX), una riduzione rispetto al deficit di quest’anno era necessaria per non fare la fine di Kwasi Kwarten e Liz Truss. La critica semmai riguarda il fatto che hanno dovuto pagare pegno alle promesse elettorali (soprattutto su pensioni e flat tax) trascurando settori che sono in grave sofferenza, il che getta un’ombra sulla possibilità di tenuta dell’obiettivo di deficit. Il sentiero una volta era stretto, ora è quasi invisibile e comunque è davvero impervio.
Pensieri sulla manovra Meloni-Giorgetti
di Giampaolo Galli, Inpiù, 22 novembre 2022
Come sempre in Italia, la manovra non è come sembra. È giustamente prudente, ma anche molto restrittiva.
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