Dal Festival Internazionale dell’Economia di Torino ho tratto l’impressione che alla meritocrazia si possa adattare il famoso detto di Churchill a proposito della democrazia. La meritocrazia è forse un pessimo sistema, ma è il migliore che conosciamo. Naturalmente, la meritocrazia che conosciamo è quella che è modellata dalle forze del mercato, ma con i robusti correttivi dell’intervento pubblico, nel bene e nel male. Ad esempio, se si ritiene che il merito degli infermieri (o di alcuni di essi) non sia adeguatamente remunerato rispetto a quello dei manager, non si punti il dito contro il mercato, ma contro lo stato che non paga abbastanza gli infermieri bravi. Per vedere che le alternative alla meritocrazia sono peggiori, non dobbiamo andare lontano e guardare a regimi semifeudali o autocratici. Basta guardare all’Italia di oggi e confrontarla con quasi tutti gli altri paesi avanzati. In Italia, nella scuola, nella magistratura e in generale nelle pubbliche amministrazioni si va avanti, molto lentamente, per anzianità, non per merito. Fino a quando si arriva al vertice e allora conta la fedeltà a qualche personaggio potente, non certo il merito. Il caso Palamara ci ha insegnato cosa accade nella magistratura, ma non è molto diverso alla RAI (lo sanno bene tanti eccellenti giornalisti che hanno dovuto lasciare il servizio pubblico!), nelle ASL (un presidente di Regione si è dovuto dimettere per una sentenza passata in giudicato su concorsi truccati) e ai vertici di molte pubbliche amministrazioni. Un diploma universitario italiano non vale moltissimo, dato che, pur con meritevoli eccezioni, le università italiane si collocano assai in basso in tutte le principali classifiche mondiali e che, come hanno dimostrato Tito Boeri e Roberto Perotti (Lavoce.info del 17/03/2021), i fondi che dovrebbero premiare il merito vengono distribuiti a tutti quasi in egual misura. Stando così le cose, non sorprende che l’Italia stia al 130esimo posto su 167 paesi per capacità di attrarre talenti dall’estero e anzi sia diventata una terra da cui emigrano i giovani più bravi. Né sorprende che l’Italia abbia smesso da tempo di essere la nazione del dinamismo imprenditoriale: per numero di nuove imprese in rapporto alla popolazione, l’Italia si colloca al 28esimo posto su 34 paesi avanzati. Le aziende che nascono ogni anno nel Regno Unito sono il doppio di quelle che nascono in Italia. E non sorprende che le domande di brevetto siano solo 535 per milione di abitanti a fronte dei 2.000 circa di Taiwan, Svezia, Danimarca, Germania Olanda, Finlandia. E dei 5.000 della Svizzera! Tutti gli indici di capacità innovativa (dal Desi della Commissione Europea o al Global Innovation Index della World Intellectual Property Organisation) collocano l’Italia agli ultimi posti fra i paesi avanzati. Il merito conta poco anche in una parte del mondo corporate privato perché, come molte ricerche hanno dimostrato, la caratteristica peculiare di molte nostre imprese è che le famiglie non solo controllano, ma gestiscono in prima persona le imprese, il che significa che ci sono scarse prospettive per i managers di talento. Fanno certamente eccezione alcune centinaia di imprese (fra cui le cosiddette multinazionali tascabili), specie ma non solo nel settore manifatturiero, che sono riuscite a vincere le sfide dei mercati internazionali. Queste imprese sanno cosa siano la valutazione e il merito. È da queste imprese che può venire la reazione al declino italiano, che è anzitutto declino da mancanza di meritocrazia
I meriti della meritocrazia
di Giampaolo Galli, Inpiù, 11 giugno 2022.
La meritocrazia è forse un pessimo sistema, ma è il migliore che conosciamo. Naturalmente, la meritocrazia che conosciamo è quella che è modellata dalle forze del mercato, ma con i robusti correttivi dell’intervento pubblico, nel bene e nel male. Per vedere che le alternative alla meritocrazia sono peggiori, non dobbiamo andare lontano. Basta guardare all’Italia di oggi e confrontarla con quasi tutti gli altri paesi avanzati.
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