La manovella inceppata della spesa pubblica, di Giampaolo Galli, Inpiù, 23 settembre 2019

Il Ministro Roberto Gualtieri ha annunciato che per la prossima manovra di bilancio l’obiettivo è di mantenere il deficit 2020 sullo stesso livello previsto per il 2019 e cioè il 2 per cento circa del Pil. Si calcola che ciò comporti una manovra netta di circa 16 miliardi, posto che non si vuole ricorrere all’aumento dell’Iva. Se poi si tiene conto delle politiche che sono state annunciate (riduzione del cuneo sul lavoro, asili gratis, politiche per la famiglia, pubblica istruzione, incentivi agli investimenti ecc.) si arriva almeno a 26 miliardi. Dove si possono trovare tutti questi soldi?

Una manovra del genere non sarebbe restrittiva, ma all’incirca neutrale: i 16 miliardi servono a finanziare maggiori spese già deliberate negli scorsi anni che, in assenza di correttivi, porterebbero il deficit attorno al 2,9% del Pil. In astratto, dato che l’economia è ferma, si potrebbe pensare ad una manovra espansiva, ma questa politica non sarebbe accettata dalla Commissione Europea e comunque non sarebbe prudente per un paese indebitato come l’Italia.

Una versione ingenua, ma straordinariamente diffusa della teoria keynesiana dice che a seconda delle esigenze, la spesa pubblica o le tasse possono essere manovrate a piacimento, come se l’economia fosse un tramvai: si gira la manovella per aumentare il deficit quando fa brutto tempo per poi tornare alla virtù di bilancio quando torna il sole. La realtà è molto diversa: una volta che si è attuato un aumento di spesa o una riduzione di imposte, questi diventano pressoché irreversibili. Per cui quando piove si aumenta il deficit, quando c’è il sole non lo si riduce e il debito pubblico aumenta a dismisura. Oggi pioviggina e il nostro problema è solo di evitare che il deficit aumenti ancora, ma anche questo pare pressoché impossibile. Secondo i calcoli dell’Osservatorio sui Conti Pubblici, solo dal 2013 sono stati erogati benefici per circa 90 miliardi, una somma davvero ragguardevole. Alzi la mano chi se la sente di togliere gli 80 euro oppure di eliminare quota 100 fin da quest’anno, oppure ancora di riportare l’IRPEG dal 24% al 27,5%, o di cancellare gli stanziamenti (3 miliardi) per la buona scuola?

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Su 90 miliardi qualcosa si può certamente limare, ma certo le difficoltà che stiamo incontrando in questi giorni, come alla viglia di ogni legge di bilancio, confermano ancora una volta quanto sia fuori dalla realtà l’idea che alla bisogna si gira la manovella e il tramvai rallenta. Ed è per questo motivo che la storia finisce quasi sempre con un condono, più o meno abilmente travestito, oppure con qualche taglio lineare, più finto che vero e comunque temporaneo, ai ministeri o agli enti locali. La speranza è che questo governo riesca a fare davvero qualche affondo di spending review e, soprattutto, la cosa principale che deve essere fatta in questo paese: la lotta senza quartiere agli oltre 130 miliardi di evasione fiscale.

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