“Non sappiamo se raggiungiamo la quota dei 18 miliardi prevista come target 2019 per le dismissioni”. Finalmente, il ministro Tria ha battuto un colpo sul tema delle privatizzazioni, aggiungendo però che “non possono esserci indiscrezioni perché coinvolgono anche aziende quotate sul mercato”. Quindi non si sa nulla delle intenzioni del governo, il che induce a pensare che non ci sia nulla di importante in cantiere altrimenti qualcosa sarebbe trapelato. Peraltro nessuno aveva mai preso molto sul serio l’impegno del governo. Esso fece capolino nella lettera di Tria alla Commissione del 13 novembre scorso e fu ribadito nel Def del maggio scorso. Ma il vice premier Di Maio precisò subito che “non ci saranno dismissioni di gioielli di famiglia. Noi abbiamo previsto immobili, beni di secondaria importanza, ma se mi parlate di Eni, Enav, tutti questi soggetti devono restare saldamente nelle mani dello Stato”.
E’ evidente che il governo è più propenso a nazionalizzare che a privatizzare. La questione che più di tutte caratterizza i partiti populisti è l’illusione che la politica sia pressoché onnipotente e possa risolvere tutti i problemi dei cittadini. Se la politica può “abolire la povertà” con un decreto, non si capisce perché debba vendere i gioielli di famiglia ed anzi perché non possa fare l’esatto contrario e cioè usare i soldi dei contribuenti per salvare Alitalia, Carige e Popolare di Bari o per fare un polo nazionale delle costruzioni. Va anche detto che, nelle circostanze attuali, 18 miliardi sarebbero una cifra fuori misura anche per un governo non populista. In Italia attorno a questa cifra si arrivò nell’anno 2003 (17 miliardi) quando furono cedute principalmente importanti quote di Enel, Eni, Poste, Ente Tabacchi Italiani e la Cassa Depositi e Prestiti fu messa fuori dal perimetro della Pa.
L’altro anno record è stato il 1999, in cui furono incassati proventi per 22,6 miliardi di euro attraverso dismissioni di consistenti quote di Enel, Unim (patrimonio immobiliare ex-Ina) e Mediocredito Centrale. In tutti gli altri anni, da quando inizia la serie storica ricostruita dalla Banca d’Italia, i proventi sono stati di gran lunga inferiori. Quanto alle dismissioni immobiliari, si sta cominciando adesso con alcuni bandi di una certa importanza, ma anche in questo caso appare improbabile che si riesca a raggiungere l’obiettivo, messo a bilancio, in aggiunta ai 18 miliardi, di 950 milioni. Il mimino che si possa dire è che quest’anno il gap fra impegni e realtà in materia di privatizzazioni supererà di gran lunga quelli, già consistenti, degli anni passati e anche questo non aiuterà a rendere credibile l’Italia agli occhi degli investitori. @giampaologalli, Inpiù, 29 luglio 2019.