Se non si interviene, per effetto delle cosiddette clausole di salvaguardia, dal 1° gennaio 2019 l’aliquota Iva al 10% passerà all’11,5 e quella al 22% al 24,2, con un gettito aggiuntivo di 12,5 miliardi. È comprensibile che ci sia una grande avversione nei confronti di questi aumenti, perché toccano tutti i cittadini e colpiscono la categoria assai numerosa dei commercianti, che nella crisi non se l’è passata bene.
E’ meno comprensibile che si dica che abbiamo urgente bisogno di un governo per evitare che aumenti l’Iva. Ci sono mille ragioni per cui avremmo bisogno di un governo: la principale è evitare che si diffonda fra i cittadini la sensazione che votare non serva a nulla. Invece, stando alle dichiarazioni politiche, un governo è necessario innanzitutto per evitare l’aumento Iva.
Il risultato, un po’ paradossale, è che il governo dovrebbe salvaguardarci proprio dalle clausole che sono state apposte per salvaguardare il bilancio.
E si usa addirittura un linguaggio militare: si devono “disinnescare” le clausole come si devono disinnescare le mine anti uomo. Se ci fosse un po’ più di serietà, si discuterebbe della posizione di tutte le organizzazioni internazionali e della Commissione Europea, che da anni ci dicono che le tasse sui consumi sono fra le meno dannose per la crescita e che l’Italia è uno dei Paesi in cui sono più rilevanti le eccezioni rispetto all’aliquota Iva ordinaria.
E ci si porrebbe la domanda, eminentemente politica, di quali sono le alternative. Invece, ci si affida agli sminatori di professione, che, come ogni anno, ai tempi supplementari e con l’acqua alla gola, non troveranno nulla di meglio che aumentare il deficit e imporre nuovi adempimenti fiscali, che sono forse più costosi dell’Iva, ma, lì per lì, ossia fino a quando non si va dal commercialista, non si vedono e quindi non fanno male.