La scelta di Mario Nava per la presidenza della Consob è eccellente. È un economista di indiscussa preparazione ed esperienza, soprattutto sui mercati finanziari e sulle banche, in un mondo in cui spesso l’approccio giuridico prevale su quello economico. Con l’unione bancaria e il cantiere aperto dell’unione del mercato dei capitali potrà dare un importante contributo sui tavoli europei.
Inoltre, è una persona al di fuori dal sistema di relazioni che spesso condizionano le istituzioni in Italia. E proprio qui sta la chiave della sfida che Mario Nava dovrà affrontare per ricostruire l’autorevolezza dell’istituzione, che negli anni della crisi, per buoni o cattivi motivi, si è un po’ appannata.
Il capitalismo italiano è ancora fortemente dipendente dalle relazioni più o meno opache e dovrà fare sempre più affidamento sul mercato e sulla trasparenza, all’insegna della tutela dei risparmiatori e degli investitori di minoranza.
È questo peraltro il messaggio di fondo che, pur fra molte contraddizioni, è emerso dai lavori della commissione parlamentare sulle banche. Il risparmio non è adeguatamente tutelato e ciò è spesso il risultato di un malinteso concetto di difesa del territorio e di quel sistema di relazioni locali che hanno consentito alle banche di collocare presso i propri clienti, piccoli risparmiatori, prodotti finanziari che sono più adatti agli investitori istituzionali.
A scanso di equivoci, non basta ovviamente un nuovo presidente della Consob per sradicare le cattive abitudini italiane. Occorre un cambiamento culturale di fondo, dal momento che fino a poco tempo fa il localismo e le relazioni erano difese da quasi tutti, politici, imprenditori e banchieri, in contrapposizione alla logica di mercato di cui sono portatori gli investitori istituzionali. Questo non è solo un problema serissimo per i piccoli risparmiatori; è anche cruciale per il sistema Paese, perché lo rende poco attrattivo per gli investimenti dall’estero.
Malgrado i problemi cronici di bassa crescita e alto debito pubblico, in giro per il mondo ci sono ingenti capitali pronti ad essere investiti in Italia. Ma questi capitali chiedono un rigoroso rispetto delle regole.
Oggi, almeno sulla carta, l’Italia ha una normativa all’avanguardia per la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza. Neppure nel mondo anglosassone vi sono requisiti tanto stringenti e organi di controllo societario per proteggere le minoranze: il collegio sindacale, il voto di lista, il requisito di avere almeno un amministratore indipendente nella lista di maggioranza, ecc. Tuttavia, come spesso accade in Italia, c’è un gap tra le norme e la loro applicazione.
I fondi internazionali che vivono quotidianamente le vicende dei mercati finanziari italiani lamentano una mancanza di tempestività e incisività nell’azione della Consob, e la mancanza di spiegazioni. Riferiscono di lettere che giacciono per anni nei cassetti che costringono a ricorrere alla magistratura per questioni che altrove vengono risolte d’ufficio dall’autorità amministrativa.
Nel Minority Shareholders Protection Index, redatto da Mauro Guillén dell’Università di Wharton e Laurence Capron dell’Insead, l’Italia non figura molto bene. Ed è dimostrato che i paesi che sono in alto nella classifica, ossia che sanno davvero tutelare le minoranze, tendono ad avere mercati più spessi e robusti, perché gli investitori sono più disposti a correre rischi; e non bastano le leggi ma serve anche la loro applicazione.
L’Italia è un paese con risparmio elevato e i dati di bilancia dei pagamenti mostrano che le famiglie italiane ‘diversificano’ sempre più verso l’estero i loro investimenti. Questo per certi aspetti è fisiologico; il problema è che l’Italia non riesce ad attrarre altrettanti flussi di investimento dall’estero.
In un momento in cui il canale di finanziamento del credito bancario migliora, ma a ritmi insoddisfacenti, e il risparmio domestico è sempre più canalizzato verso altri paesi, è essenziale per attrarre investimenti che la Consob applichi efficacemente e tempestivamente le norme sulla tutela del risparmio e delle minoranze societarie.
Segnali importanti sono dunque attesi dal nuovo presidente. Dovrà contribuire all’importante cambiamento culturale in corso. Le imprese italiane, e le banche in particolare, dovranno rispettare, nella forma e nella sostanza, le regole e i diritti delle minoranze e gli standard di trasparenza internazionali. Non possono più pensare di sopperire alle carenze di capitali facendo appello alle proprie relazioni e ai piccoli risparmiatori del territorio. Gli imprenditori e i politici devono smettere di guardare agli investitori istituzionali come a dei colonizzatori e accettarne un ruolo più incisivo nella governance societaria, come già avviene in tanti altri paesi.
La scelta di Mario Nava per la presidenza della Consob è eccellente. È un economista di indiscussa preparazione ed esperienza, soprattutto sui mercati finanziari e sulle banche, in un mondo in cui spesso l’approccio giuridico prevale su quello economico. Con l’unione bancaria e il cantiere aperto dell’unione del mercato dei capitali potrà dare un importante contributo sui tavoli europei.
Inoltre, è una persona al di fuori dal sistema di relazioni che spesso condizionano le istituzioni in Italia. E proprio qui sta la chiave della sfida che Mario Nava dovrà affrontare per ricostruire l’autorevolezza dell’istituzione, che negli anni della crisi, per buoni o cattivi motivi, si è un po’ appannata.
Il capitalismo italiano è ancora fortemente dipendente dalle relazioni più o meno opache e dovrà fare sempre più affidamento sul mercato e sulla trasparenza, all’insegna della tutela dei risparmiatori e degli investitori di minoranza.
È questo peraltro il messaggio di fondo che, pur fra molte contraddizioni, è emerso dai lavori della commissione parlamentare sulle banche. Il risparmio non è adeguatamente tutelato e ciò è spesso il risultato di un malinteso concetto di difesa del territorio e di quel sistema di relazioni locali che hanno consentito alle banche di collocare presso i propri clienti, piccoli risparmiatori, prodotti finanziari che sono più adatti agli investitori istituzionali.
A scanso di equivoci, non basta ovviamente un nuovo presidente della Consob per sradicare le cattive abitudini italiane. Occorre un cambiamento culturale di fondo, dal momento che fino a poco tempo fa il localismo e le relazioni erano difese da quasi tutti, politici, imprenditori e banchieri, in contrapposizione alla logica di mercato di cui sono portatori gli investitori istituzionali. Questo non è solo un problema serissimo per i piccoli risparmiatori; è anche cruciale per il sistema Paese, perché lo rende poco attrattivo per gli investimenti dall’estero.
Malgrado i problemi cronici di bassa crescita e alto debito pubblico, in giro per il mondo ci sono ingenti capitali pronti ad essere investiti in Italia. Ma questi capitali chiedono un rigoroso rispetto delle regole.
Oggi, almeno sulla carta, l’Italia ha una normativa all’avanguardia per la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza. Neppure nel mondo anglosassone vi sono requisiti tanto stringenti e organi di controllo societario per proteggere le minoranze: il collegio sindacale, il voto di lista, il requisito di avere almeno un amministratore indipendente nella lista di maggioranza, ecc. Tuttavia, come spesso accade in Italia, c’è un gap tra le norme e la loro applicazione.
I fondi internazionali che vivono quotidianamente le vicende dei mercati finanziari italiani lamentano una mancanza di tempestività e incisività nell’azione della Consob, e la mancanza di spiegazioni. Riferiscono di lettere che giacciono per anni nei cassetti che costringono a ricorrere alla magistratura per questioni che altrove vengono risolte d’ufficio dall’autorità amministrativa.
Nel Minority Shareholders Protection Index, redatto da Mauro Guillén dell’Università di Wharton e Laurence Capron dell’Insead, l’Italia non figura molto bene. Ed è dimostrato che i paesi che sono in alto nella classifica, ossia che sanno davvero tutelare le minoranze, tendono ad avere mercati più spessi e robusti, perché gli investitori sono più disposti a correre rischi; e non bastano le leggi ma serve anche la loro applicazione.
L’Italia è un paese con risparmio elevato e i dati di bilancia dei pagamenti mostrano che le famiglie italiane “diversificano” sempre più verso l’estero i loro investimenti. Questo per certi aspetti è fisiologico; il problema è che l’Italia non riesce ad attrarre altrettanti flussi di investimento dall’estero.
In un momento in cui il canale di finanziamento del credito bancario migliora, ma a ritmi insoddisfacenti, e il risparmio domestico è sempre più canalizzato verso altri paesi, è essenziale per attrarre investimenti che la Consob applichi efficacemente e tempestivamente le norme sulla tutela del risparmio e delle minoranze societarie.
Segnali importanti sono dunque attesi dal nuovo presidente. Dovrà contribuire all’importante cambiamento culturale in corso. Le imprese italiane, e le banche in particolare, dovranno rispettare, nella forma e nella sostanza, le regole e i diritti delle minoranze e gli standard di trasparenza internazionali. Non possono più pensare di sopperire alle carenze di capitali facendo appello alle proprie relazioni e ai piccoli risparmiatori del territorio. Gli imprenditori e i politici devono smettere di guardare agli investitori istituzionali come a dei colonizzatori e accettarne un ruolo più incisivo nella governance societaria, come già avviene in tanti altri paesi.