La spending review sta dando buoni risultati. La presentazione fatta dal commissario Yoram Gutgeld non dovrebbe lasciare molti dubbi al riguardo.
Il numero chiave a cui guardare è quello dei consumi finali delle pubbliche amministrazioni, perché è l’aggregato dei conti pubblici Istat/Eurostat che meglio approssima l’area della spesa aggredibile dalla spending review: si tratta in sostanza della somma degli acquisti e degli stipendi della pubblica amministrazione.
In tutto sono 316 miliardi di euro, il 19% del PIL, poco meno dei 328 miliardi che da un esame più analitico – ma che non si presta a confronti internazionali – il commissario ritiene essere il totale della spesa su cui si può agire. Ebbene, nel periodo 2013-2016 in Italia l’aggregato dei consumi finali della PA è cresciuto solo dello 0,2%, meno che in tutti gli altri paesi dell’Ocse ad eccezione della Grecia: + 13,6% in Germania, + 4,8% in Francia, + 6,4% nella media UE.
Rispetto al totale della spesa pubblica (829 miliardi nel 2016) rimangono fuori da questo aggregato gli interessi sul debito, che dipendono principalmente dalla politica della BCE, le spese in conto capitale, che semmai andrebbero aumentate, la spesa per prestazioni sociali, principalmente pensioni e ammortizzatori sociali, e alcune spese correnti considerate non comprimibili (ad esempio i contributi alla Nato o all’Unione Europea).
Naturalmente è lecito dire che anche le prestazioni sociali dovrebbero essere tagliate, ma non si può non fare i conti con le sentenze della Corte Costituzionale in materia di pensioni.
L’Italia tra i paesi più virtuosi
In ogni caso, anche guardando all’insieme di tutte le spese al netto degli interessi e considerando gli 80 euro come spesa, si ha una crescita del 2,9% nel triennio, un dato che colloca l’Italia fra i paesi più virtuosi in assoluto. Basti considerare che nello stesso periodo la spesa, sempre al netto degli interessi, è cresciuta del 5,7% nella media dell’UE, dell’11,3% in Germania, del 5% in Francia, del 11,7% in Svezia.
Fra i principali paesi, pochissimi hanno fatto meglio: l’Olanda con 1,5%, la Spagna con 2,1%. Guardando alle principali componenti della spesa, da noi il costo dei dipendenti pubblici è diminuito di 0,4%, mentre è aumentato in quasi tutti gli altri paesi (+ 8,2% in Germania e + 4,2% nell’Eurozona); gli acquisti per consumi intermedi sono saliti di 1,7%, a fronte di aumenti del 14% in Germania e del 5% nell’Eurozona; le stesse prestazioni sociali sono cresciute (+ 5,2%), ma meno che in Germania, in Francia e nella media dell’Eurozona; gli investimenti sono crollati dell’8,5%, analogamente a quanto avvenuto in molti altri paesi (- 10% in Francia, -6,7% in Spagna, -3,1% nell’Eurozona) e a differenza di quanto avvenuto in Germania (+9,5%).
La spesa pro capite
Per effetto della spending review di questi anni, ma anche di quelle precedenti, l’Italia è uno dei paesi con la spesa pro capite(sempre al netto degli interessi) più bassa.
Stiamo a 12.587 euro a persona. La Finlandia sta sopra questo valore del 70%, la Svezia del 65, l’Austria del 56, il Belgio del 50, la Francia del 45, la Germania del 29. Persino il virtuosissimo Regno Unito, patria d’elezione dei tagli alla spesa, sta sopra di noi del 14%. Sotto di noi stanno Spagna, Portogallo, Grecia e i paesi dell’Est Europa.
I confronti internazionali danno risultati diversi se anziché guardare alla spesa procapite, guardiamo ai rapporti al Pil. Il motivo è che negli anni scorsi il Pil è andato peggio che in quasi tutti gli altri paesi. In questo caso, con un valore di 45,6%, siamo sopra la Germania (42,9%), sopra Spagna e Regno Unito (39,6%) e leggermente sopra l’Unione Europea (44,5%). Rimaniamo sotto tutti i paesi nordici, ma anche sotto la Francia (54,3%), il Belgio (50,4%), l’Austria (49,0%).
La spesa pubblica
La conclusione è che la nostra spesa pubblica è stata compressa in misura molto consistente ed è oggi su livelli procapite che rendono difficile soddisfare pienamente i bisogni degli italiani che non sono diversi da quelli dei francesi o degli inglesi.
Rimane però troppo alta in rapporto al Pil e all’esigenza di rendere sostenibile il nostro debito pubblico. Siamo quindi costretti a continuare l’azione di contenimento, ma ciò è molto difficile proprio perché l’azione fatta fino ad oggi è stata efficace.
Ed è questo il messaggio che hanno voluto dare sia il ministro Padoan sia Paolo Gentiloni: discutiamo delle necessarie azioni che devono essere fatte per contenere ulteriormente la spesa, ma riconosciamo i progressi fatti e abbandoniamo, per favore, un diffuso atteggiamento di sufficienza e faciloneria in un campo in cui, quando si tratta di fare, non c’è nulla di facile.