Che le larghe intese non suscitino entusiasmi è del tutto comprensibile. In fondo nessun elettore ha votato per le larghe intese, fatta eccezione forse per qualcuno di Scelta Civica. Ed è comprensibile che un militante sostenga che se avesse vinto il suo partito le cose sarebbero andate molto meglio.
Stupisce un po’ invece che le larghe intese siano oggetto di critica da parte di commentatori indipendenti e di una parte non piccola delle élite dirigenti di questo paese. Quelle élite che da sempre criticano l’eccesso di litigiosità della politica e da sempre invocano accordi bipartisan, ossia larghe intese, per fare le cose difficili e impopolari che sono necessarie.
E’ vero, come ha sostenuto Galli della Loggia sul Corriere di domenica scorsa, che le larghe intese di per sé non risolvono i tanti problemi accumulati in questo paese, non raddoppiano la Salerno-Reggio Calabria, non introducono la meritocrazia, non disboscano le leggi ecc. E’ anche vero però che questi problemi non erano stati risolti dai precedenti governi “monocolori”, né da quelli di centro-destra, né da quelli di centro-sinistra. Se così non fosse, tutti questi problemi non starebbero oggi sul tavolo delle larghe intese.
Quando sembrava che Berlusconi volesse mettere in crisi il governo, negandogli la fiducia, fu quasi unanime la difesa della stabilità da parte dei sindacati, delle organizzazioni imprenditoriali e professionali, da parte della stessa conferenza episcopale. Di rado si era visto in Italia uno schieramento così ampio esprimersi su una questione strettamente politica in modo tanto compatto, segno della consapevolezza del fatto che questo governo non ha alternative e che nuove elezioni, a legge elettorale e costituzione invariate, non risolverebbero alcunché.
Sembra strano che non si riesca a fare di necessità virtù e che il governo sia circondato da tante critiche e tanto scetticismo. Dato il contesto, qualcuno può davvero credere che se le elezioni fossero andate un po’ meglio per il centrosinistra al Senato, oggi ci sarebbe un governo stabile e fattivo formato da SEL, PD e Scelta Civica? Pensiamo onestamente a quanti ministri si sarebbero già dimessi, ad esempio sulla questione degli F35, oppure su una legge di stabilità contro cui i sindacati annunciano uno sciopero generale. Ed altrettanto onestamente chiediamoci se un siffatto governo avrebbe potuto tradire la promessa che in fondo fu fatta anche dal PD e Scelta Civica di abolire l’IMU sulla prima casa, se non su tutti, almeno sul 90 per cento dei proprietari.
Quello che oggi appare come un conflitto fra centro-destra e centro-sinistra della coalizione avrebbe preso la forma di un conflitto all’interno della coalizione di centro-sinistra. E qualora questa coalizione avesse deciso di tradire gli impegni con gli elettori, non togliendo l’IMU, ma concentrando tutte le risorse sul cuneo fiscale, non sarebbe stata messa in croce da un’opposizione unanime e compatta di PDL, Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle? Un ampio e variegato schieramento di oppositori che avrebbe trovato l’unanimità nel chiedere a gran voce, come più o meno chiedono tutti sottovoce, di far saltare i vincoli europei in materia di bilancio pubblico. E alla pressione anti-europea e anti-austerity che costoro sarebbero stati in grado con assoluto cinismo di portare nei talk show e nelle piazze d’Italia sarebbe stato molto difficile resistere. Verosimilmente si sarebbe aperta una crisi all’interno della maggioranza, dato che SEL e un’ampia parte del PD sono fortemente schierati contro la “cieca austerity” dell’Europa. Ed è facile immaginare cosa sarebbe potuto succedere nei rapporti fra l’Italia e l’Unione Europea.
Certo, se il PDL non facesse parte della compagine di governo, Berlusconi non potrebbe minacciare la sfiducia a fronte del rischio di decadenza dal ruolo di senatore. Ma Berlusconi avrebbe potuto comunque creare una crisi istituzionale, facendo dimettere i parlamentari, oppure facendo, assieme al Movimento 5 Stelle, un ostruzionismo che sarebbe stato in grado di paralizzare il parlamento.
In queste condizioni ovviamente non si sarebbe neanche potuto avviare un discorso sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale. Su questo fronte sarebbe preclusa anche la speranza di un cambiamento. E se alla data del 20 ottobre il governo fosse stato forse ancora in vita – il che è da ritenersi assai poco probabile – oggi si troverebbe, come qualunque altro governo, di fronte la scelta fra ridurre in maniera assolutamente marginale il cuneo fiscale, provocando l’inutile protesta dei sindacati, oppure aggirare i vincoli europei rischiando le reazioni negative da parte dei mercati finanziari.
Nell’ipotesi opposta, di vittoria elettorale del PDL, Berlusconi non sarebbe stato fatto decadere da senatore e solo questo avrebbe esposto l’Italia al ludibrio universale.
Ecco dunque a cosa potrebbe servire quella classe dirigente che, secondo Galli della Loggia, tanto drammaticamente ci manca. Dovrebbe dire con chiarezza che questo governo non ha alternative, che qualunque altra soluzione ragionevolmente immaginabile è peggiore, che ad esso sono appesi i destini dell’Italia e di tutti noi. Soprattutto dovrebbe impegnarsi ad avanzare proposte possibili, mettendo da parte i tanti che per opportunismo, moda o miope calcolo politico partecipano a quel gioco nazionale da bar sport che consiste nel criticare il governo a prescindere.
Se le élite non sanno fare questo, è quasi inevitabile che l’esito sia quello dell’instabilità politica, delle fibrillazioni continue, della fiducia condizionata nelle cancellerie e nei mercati finanziari.
Dalla rassegna stampa: Caro della Loggia, non c’è alternativa al governo Letta
Da europaquotidiano.it: Caro della Loggia, non c’è alternativa al governo Letta