L’andamento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato negli ultimi mesi mostra che la nostra stabilità finanziaria è a rischio. Questo rischio diventerebbe gravissimo se nella legge di bilancio dovesse prevalere una linea di spesa in deficit, anziché quella più prudente del Ministro Tria.
Giorgio La Malfa nella sua replica del 5 agosto insiste che un aumento del deficit causa una riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil e che, nel sostenere l’opposto, ci siamo dimenticati che un aumento della spesa viene accompagnato da un aumento del Pil e delle entrate che migliora i conti pubblici. Neanche per sogno: non ce ne siamo certo dimenticati.
La realtà è che normalmente l’aumento delle entrate non è sufficiente a compensare l’aumento iniziale della spesa e, quindi, il deficit cresce. La Malfa assume invece che le entrate aumentino a tal punto da determinare un calo del deficit. Magari! Se così fosse, avremmo risolto ogni problema. Il deficit potrebbe essere ridotto aumentando la spesa: niente più problemi di “copertura” e potremmo chiudere la Ragioneria Generale dello Stato.
Purtroppo non è così ed è una cosa nota: non si può migliorare il deficit aumentando la spesa pubblica, a meno di ipotesi molto particolari, come peraltro dimostrato da Paul Samuelson, premio Nobel e uno dei primi studiosi di Keynes (in un articolo del 1940 pubblicato sull’American Economic Review: “The theory of pump-priming re-examined”).
La Malfa dice che, con un’aliquota media di tassazione del 42%, la spesa pubblica si copre da sé se il moltiplicatore keynesiano, cioè l’effetto sul Pil di un aumento della spesa pubblica, è pari a 2,5. È questo un valore più elevato di qualunque stima disponibile per l’Italia e, calcolatore alla mano, usando le equazioni keynesiane standard con una propensione alle importazioni del 30%, comporta che la propensione alla spesa dei residenti in risposta a un aumento del loro reddito sia intorno al 150%. Ciò significa che individui e imprese aumentano la spesa molto di più di quanto aumenta il loro reddito disponibile per effetto della spesa pubblica: ad esempio, lo stato trasferisce 80 euro e la spesa privata aumenta di 120, un comportamento assolutamente implausibile (ancor più se i tassi di interesse crescono all’annuncio di una maggior spesa).
È quindi certo in pratica che un aumento della spesa porti a un aumento del deficit, anche se per un importo inferiore. E, come spiegato nel nostro articolo precedente, un aumento del deficit causa un aumento continuo del debito, mentre causa un aumento del livello del Pil, ma non del suo tasso di crescita. Ciò implica che il rapporto fra debito e Pil inizialmente possa anche scendere, ma prima o poi debba aumentare.
La Malfa argomenta anche che l’aumento della spesa e del Pil causa un miglioramento delle aspettative e genera quindi un aumento dello stesso tasso di crescita del Pil. Insomma, fa “ripartire l’economia”, in misura tale da portare a un calo del rapporto tra debito e Pil. Avevamo discusso anche di questa possibilità. Si tratta dei magici effetti “di offerta” (o comunque di medio termine) che vanno al di là dei moltiplicatori keynesiani. Ma quali paesi sono riusciti a ridurre il rapporto tra debito e Pil aumentando la spesa pubblica? Nel nostro precedente articolo abbiamo citato nove paesi che sono riusciti a ridurre il rapporto nel modo ortodosso, cioè riducendo il deficit gradualmente. Quali paesi hanno ridotto il debito spendendo di più? @CottarelliCPI e @giampaologalli, Il Corriere della Sera, 7 agosto 2018